La storia


Cenni Storici

La scoperta dei giacimenti di petrolio, l’invenzione della gomma vulcanizzata e naturalmente la messa a punto del motore a combustione interna furono elementi determinanti per costruire e perfezionare l’automobile come noi la conosciamo oggi. All’inizio il motore a combustione era sporco, rumoroso e difficile da far funzionare. Ciò causava disagi non indifferenti ad automobilisti e viaggiatori, infastiditi dai fumi e dai vapori del petrolio. Per questi motivi, ancora nel 1892, i primi costruttori francesi discutevano su quale dovesse essere la sistemazione migliore del motore: anteriore o posteriore? Emile Levassor era tra i fautori che la posizione migliore fosse nel tergo della vettura, Armand Peugeot era invece convinto sostenitore del motore anteriore.
Tuttavia come possibile alternativa alla locomozione meccanica prende corpo nella tecnologia di fine Ottocento l’utilizzo della trazione elettrica. L’intuizione del conte Giuseppe Carli di Castelnuovo Garfagana, coadiuvato dall’ingegner Francesco Boggio, dà vita tra il 1890 e il 1891 alla prima autovettura elettrica in Italia. Negli anni, tentativi di riprodurre autovetture elettriche hanno proliferato, scontrandosi però con un limite: la capacità energetica delle batterie. La sperimentazione è comunque andata avanti, ma soltanto i veicoli elettrici per uso industriale hanno continuato a prosperare per impieghi particolari, come i carrelli per i movimenti nelle stazioni ferroviarie, i carrelli elevatori, le piccole auto per i campi da golf ed i veicoli dei servizi porta a porta. Questi ultimi in funzione specialmente in Inghilterra, dove la quiete è sacra.
La trazione elettrica con alimentazione ad accumulatori è stata ed è tuttora utilizzata sempre e comunque laddove non interessano autonomia e velocità, privilegiando invece silenziosità ed assenza di gas di scarico. In tempo di guerra e di assoluta mancanza di benzina, pochi privilegiati si fecero trasformare auto convenzionali con l’applicazione della trazione elettrica, riuscendo ad ottenere prestazioni modeste, ma sempre significative, in ogni caso migliori dell’andare a piedi. La soluzione ideale degli ultimi anni è quella della propulsione ibrida. Si tratta di un compromesso, di sicuro l’unico praticabile almeno fino a quando non sarà possibile avere a disposizione una batteria ideale. Tutte le grandi Case automobilistiche hanno tuttavia incrementato la ricerca per la progettazione di vetture alimentate elettricamente, a cominciare dalla Fiat, che costruisce il primo prototipo nel 1963 sulla base della 600 Multipla, poi nel 1965 un altro sulla base della 1100 D e due anni dopo, nel 1967, un terzo su base 850.
Nel 1972 la Casa torinese realizza la versione elettrica della Fiat X1/23 e l’anno successivo una 850 familiare a corrente alternata. Nel 1990 la Fiat mette in vendita, regolarmente in listino, la Panda Elettra: ne sono state costruite 250 nella prima serie, cui ha seguito una seconda serie molto migliorata. Nello stabilimento di Arese la Fiat realizza un polo di progettazione di veicoli a minimo impatto ambientale, tra cui la 500 e la 600 Elettra, diffusa in centinaia di esemplari in tutta Europa. La Piaggio, fin dal 1981, ha messo in vendita la prima serie Ape car elettrica, realizzata in 300 esemplari per amministrazioni pubbliche, cui ha fatto seguito il Piaggio Porter.
La penetrazione dei veicoli elettrici a batterie continua a crescere seppur lentamente: agli inizi degli anni 2000 circolano in Italia oltre 50.000 mezzi a batteria. Oggi le cose sono cambiate. Grazie al litio le batterie sono diventate interessanti anche per l’auto: l’evoluzione (ben visibile con i telefoni cellulari) le ha rese più compatte, leggere e con autonomie ben maggiori. Il passaggio non è però così immediato: l’auto richiede potenze elevate, soprattutto per gli spunti in accellerazione, e ciò comporta qualche problema nell’accoppiamento delle “celle” che servono per realizzare una batteria al litio per auto contro la singola “cella” dei telefonini.

Spunto Storico

L’industria automobilistica mondiale sta studiando da decenni di produrre e mettere in commercio veicoli azionati da energia elettrica. Il costo sempre al rialzo del petrolio e il progressivo esaurimento dei pozzi petroliferi, che procede a ritmo accelerato, spingono le industrie a ricercare soluzioni alternative alla benzina come mezzo di propulsione per le autovetture. Ma ci fu già, addirittura nell'ultimo decennio dell’Ottocento, agli albori dell’automobile, chi concepì l’uso dell’elettricità come possibilità per muovere i mezzi.

Accadde a Castelnuovo Garfagnana: nel 1891 il conte Giuseppe Carli, quasi mai citato nella storia ufficiale della locomozione su strada, titolare dell’omonima fabbrica di tessuti, costruì e fece brevettare uno strano veicolo a tre ruote e per molti aspetti originale. Se ne ha notizia dai giornali dell’epoca: “Il corriere Garfagnino”, “L’elettricità” di Milano, “Le petit journal” di Parigi. Nel 1894 la rivista francese “Locomotion” pubblicò in copertina, dandogli ampio risalto, il disegno del “veicolo Carli”, definendolo “migliore dei veicoli a vapore e a petrolio”. Un disegno ed una nota, sullo stesso argomento, sono riportati anche nella “Enciclopedia dell’automobile”, edita dai Fratelli Fabbri nel 1967. Questo primo archetipo di vettura elettrica, descritto dettagliatamente dal “Corriere di Garfagnana”, era lungo m. 1,80; largo un metro; alto 1,20 e pesava appena 140 chili.

Costruito con tubi d’acciaio verniciati, fissi sull’asse di tre ruote di ferro. Il triciclo a due posti, aveva la forza elettro-motrice ed era fornita da una batteria di dieci accumulatori da 25 amperes-ore, chiusi ermeticamente in cassette di ebanite, dal peso di 70kg, aventi un potenziale di duemila wats. La forza elettrica distribuita al motorino per mezzo di un commutatore di 8-12-16 e 20 volts. Marciando in media a 12 volts-amperes a 3000 giri-minuto, assicurano le cronache dell’epoca, la carica durava non meno di dieci ore. Non si hanno notizie tuttavia della velocità del veicolo, in compenso si sa che era munito di lampade elettriche, soneria d’allarme, freno, valvole fusibili di sicurezza e un dispositivo invertitore di rotazione in modo da ottenere la retromarcia, guida a manubrio, Il tutto realizzato, come detto, dal Carli e da un suo ingegnere, tal Francesco Boggio, a Castelnuovo Garfagnana, tra il 1890 e il 1891, in un’angusta officina all’interno della fabbrica di stoffe.

I due, convinti che il veicolo, “prudentemente guidato da mani esperte”, avrebbe anche potuto rivaleggiare con tutti i suoi consimili a petrolio e a vapore, decisero di iscriverlo, con il numero di gara 91, fra i concorrenti della prima gara automobilistica del mondo, la “Paris-Rouen”, che ebbe luogo il 22 luglio del 1894. Alla guida avrebbe dovuto esserci il conte Carli stesso, meccanico il Boggio. Era tutto predisposto, purtroppo però un contrattempo burocratico impedì la partecipazione alla gara: la dogana francese non permise lo svincolo del veicolo. Qui si ferma la cronaca, forse anche per le alterne fortune del conte Carli, che in seguito dovette far fronte ad un crac della sua azienda: di quel veicolo elettrico oggi in Garfagnana non vi è più traccia. Giuseppe Carli morì a Livorno, nel 1913 all’età di 59 anni, dopo aver abbandonato amareggiato e stanco la Garfagnana.

La Parigi-Rouen 1894

Prima gara automobilistica del mondo

Nel 1893 Pierre Giffard, redattore capo del quotidiano di Parigi “Le Petit Journal”, pubblicò nel numero del 19 dicembre l’intenzione di promuovere e organizzare nel 1894 un concorso su strada per vetture a propulzione meccanica con lo scopo di incentivarne l’evoluzione e il progresso. Nell’uscita successiva del giornale fece pubblicare il percorso e il testo del regolamento con una decina di clausole.

Una prova, su percorso Parigi-Rouen di 126 Km, in due semitappe nella stessa giornata, la prima al mattino e la seconda nel pomeriggio, aperta a macchine di qualunque tipo e nazionalità che rispondano a condizioni di (si legge testualmente nel bando diffuso dal giornale) “essere con facilità e senza pericolo guidate dai passeggeri e di costare il meno possibile nell’impiego su strada”. Gli iscritti, precisa il regolamento, dovranno sottoporsi a “esperienze preliminari su percorso di 50 km intorno Parigi coperti alla velocità di almeno 12,5 Km orari nel tempo massimo di quattro ore.” I premi sono così fissati: 1 premio 5.000 franchi in oro, messi in palio da “Le Petit Journal” più altri premi da 2.000, 1.500, 1.000 e 500 franchi, messi a disposizione da un appassionato mecenate dell’epoca, un tal Monsieour Marinoni. Stando alla quantità di iscrizioni che pervennero al Petit Journal, non si poteva negare il successo dell’iniziativa: alla data del 30 aprile 1894 (termine ultimo per iscriversi) risultarono regolarmente iscritti ben 102 concorrenti, ma soltanto in 47 si presenteranno alle prove preliminari e alle eliminatorie che hanno luogo nei giorni 18,19,20 e 21 luglio 1894. Alla fine delle prove risulteranno qualificate soltanto 21 vetture, 16 con motore a benzina e 5 a vapore. La gara, che a buon ragione può essere considerata la prima corsa automobilistica del mondo, (dato il consistente numero di partecipanti e aperta anche a concorrenti non francesi, sarà una tappa fondamentale nella storia dell’automobilismo del XIX secolo) prende il via alle 8 del mattino della domenica 22 luglio 1894 dalla Porta de Maillot a Parigi.

Il tragitto da Parigi a Rouen viene portato a termine da 17 dei 21 concorrenti partiti: il più veloce a giungere sul traguardo finale è il marchese Alberto De Dion, alla guida di una specie di trattore a vapore cui è agganciata una carrozza priva di ruote anteriori. De Dion impiega a coprire il percorso per raggiungere la città normanna 6 ore e 48 minuti, precedendo di 5 minuti una Peugeot a benzina, alla velocità media di 18,529 Km orari. Diciassette vetture sono riuscite a portare a termine la gara superando il limite minimo prescritto di velocità (12,500 Km orari), tenendo però conto delle fermate per il riformimento.

Tuttavia per assegnare definitivamente la vittoria, la giuria discusse animatamente un giorno e una notte. Alla fine della lunga discussione il trattore a vapore di De Dion viene declassato in seconda posizione perchè, stabilisce un comunicato della giuria, “troppo pesante, poco maneggevole, non del tutto conforme allo spirito del regolamento”, mentre vengono dichiarate prime exequo le vetture seconda e terza arrivate, vale a dire la Peugeot e la Panhard et Levassor a due posti, dividendo il 1° premio di 5000 franchi in oro. La classifica finale vede poi al quarto posto a pari merito le vetture a petrolio di Vacheron e di Lebrun, 5° premio alla Roger a petrolio. Agli altri menzione di partecipazione. Quale fu il merito principale della Parigi-Rouen? Probabilmente quello di portare alla ribalta le competizioni come potente mezzo di collaudo meccanico, di propaganda e pubblicità. Insomma, una prima grandiosa vetrina per le gare automobilistiche che cominciarono così a dischiudere nuovi orizzonti.